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- 2014
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Editoriale del secondo decennio della Rivista
Si conclude con questo numero il primo ventennio de “Le Carte e la Storia”. Lo scrivo con qualche emozione (la parola “ventennio”, in uno storico contemporaneista, in Italia, evoca sempre strane sensazioni), ma anche con orgoglio, ricordando le tante incertezze dell’avvio: le riunioni del 1993-94, ospiti di Mario Serio all’Archivio centrale dello Stato; le lunghe discussioni sugli scopi, l’impianto, le collaborazioni; il dibattito su cosa si dovesse intendere per storia delle istituzioni e dove corressero i confini fatidici della disciplina.
Facemmo allora – credo – una scelta che si è rivelata felice: evitammo di rinchiuderci nel recinto artificiale delle partizioni accademiche. Puntammo piuttosto a identificarci per il lavoro comune sulle fonti, privilegiammo le affinità non presupposte ma dimostrate in concreto nel lavoro di ricerca. Soprattutto (e fu la vera novità) progettammo una alleanza organica degli storici delle istituzioni con gli operatori delle fonti, con gli archivisti e con i bibliotecari. Nacque un ibrido, come ci fu anche rimproverato? Se sì, fu un ibrido felicemente vitale.
Dietro c’era una associazione (la Società per gli studi di storia delle istituzioni) unita anch’essa dall’interesse per lo sviluppo della ricerca e non dalle strategie concorsuali di chi la promuoveva e vi prendeva parte. E venne naturale dare al suo “bollettino” (così allora, con studiato understatement, sottotitolammo la nostra rivista) un’impronta che fosse coerente col progetto: molta informazione bibliografica dunque (siamo stati forse, esclusi i periodici di bibliografia, la rivista che in assoluto ha pubblicato più segnalazioni in Italia, e più tempestivamente), molta attenzione agli archivi, una scelta di saggi e interventi di storia delle istituzioni medievali, moderne e contemporanee con ampia apertura ad approcci e punti di vista diversi. Per certi versi siamo stati una rivista borderline, curiosa di esplorare mondi paralleli, forse temeraria nel contaminarsi ma sempre consapevole che la buona ricerca storica richiede, sì, un rigoroso timone scientifico, ma al tempo stesso esige il coraggio di avventurarsi in nuove rotte.
Non tocca a noi trarre il bilancio. In vent’anni abbiamo pubblicato puntualmente (e sottolineo l’avverbio: ne andiamo fieri) 40 numeri e una infinità di saggi e articoli, avvalendoci prima della generosità di un piccolo, intelligente editore senese, Nuova Immagine, poi della determinante collaborazione con gli amici del Mulino. Una rivista si giudica da ciò che pubblica, sicché diranno i lettori. Tuttavia sarà consentito almeno un pacato tirar le somme su ciò che eravamo nel 1994 e su come siamo cambiati.
Io mi ricordo bene com’era la storia delle istituzioni vent’anni fa: veniva da un periodo di lunga sudditanza accademica rispetto ad altre discipline confinanti; poteva contare su una bibliografia talvolta di eccellente qualità ma di quantità certamente modesta; brancolava per molti versi alla ricerca di una sua precisa identità. C’era allora chi, per sviluppare la disciplina oltre lo statu nascenti, pensava si dovessero tracciare saldi confini, e presidiarli come fossero trincee difensive. Noi pensavamo e pensiamo ancora, invece, che si dovesse e si debba uscire in campo aperto. Fuor di metafora pensiamo che l’identità disciplinare si dimostra attraverso la legittimazione scientifica e la capacità attrattiva di una linea di studi. Che organizzando gli studi in centri di ricerca, collegandoli tra di loro, dando loro adeguati sbocchi editoriali, si potesse (si possa) uscire dall’angolo.
“Le Carte e la Storia”, lungo questi vent’anni, ha precisamente mirato a questo fine, provocando dibattiti e occasioni di confronto (le “giornate” annuali presso la Biblioteca del Mulino, i convegni promossi a Roma, a Napoli e altrove), intrecciando dialoghi scientifici significativi, suscitando sinergie e collegamenti, soprattutto cercando con la qualità dei saggi pubblicati di parlare a una più vasta comunità di studiosi, avessero o no i galloni accademici (avessero o no i quattro quarti di nobiltà degli storici delle istituzioni con il certificato in tasca).
Viviamo tempi di cambiamento radicale, anche per la ricerca storica. È l’epoca delle fonti digitali, ad esempio; ma anche della contaminazione tra i saperi, della loro interconnessione, della complessità e della interrelazione tra gli approcci disciplinari. Mutano assetto le stesse istituzioni, oggetto prioritario dei nostri studi. Ne vengono per chi studia la storia una serie di problemi nuovi, ma al tempo stesso una quantità di suggestioni e di stimoli come mai era accaduto in passato. È qui su questa frontiera del nuovo, che “Le Carte e la Storia” può continuare a essere una voce che conta.
Guido Melis
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