IL PRIMO DECENNIO

Dal 1999 al 2004

Primo decennio

Si rendono disponibili qui di seguito gli indici per autori e per schede analitiche, di libera consultazione.

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Editoriale del primo decennio della Rivista

Quest’anno 2004 “Le Carte e la Storia”, rivista della Società per gli studi di storia delle istituzioni, compie dieci anni. Saranno 20, con questo, i numeri pubblicati. Ad oggi hanno scritto sulle rivista 282 autori diversi. Sono stati pubblicati 571 pezzi (una media di più di 28 pezzi all’anno). Di questi, 106 sono apparsi in “Temi e Problemi”, 89 nella sezione “La ricerca” (dunque 195 pezzi nelle due sezioni specificamente dedicate ai saggi), 266 in “Cronache e notizie”; 1709 sono le schede bibliografiche. Due bibliografie annuali via via sempre più nutrite, una dedicata alle istituzioni contemporanee e l’altra a quelle medievali, costituiscono ormai un punto di riferimento per gli studiosi dei due settori.

Queste poche cifre già dicono qualcosa dell’ampiezza e profondità del lavoro che abbiamo svolto. Quando abbiamo cominciato, nel 1995, con l’editrice Nuova Immagine di Siena e sotto la prudente autodefinizione di “bollettino”, avevamo in comune due idee-base. La prima era che fosse ormai maturo il tempo per una attività culturale volta a definire il campo della storia delle istituzioni; la seconda che fosse necessario concepire questa operazione rafforzando e se del caso reinventando i tradizionali, direi fisiologici, legami tra la ricerca storico-istituzionale e i patrimoni di fonti che le sono specifici (quelle archivistiche in primo luogo, ma non solo quelle).

Sul primo punto sentivamo tutti di dover allargare l’area della storia delle istituzioni, esplorandone le zone di confine, dialogando più di quanto non si fosse fatto sino ad allora con le discipline affini; e soprattutto prestando più attenzione alle ricerche che, pur nascendo in campi a rigore estranei alla materia, offrissero però contributi innovativi alla sua crescita. Ciò ha subito creato un paradosso: la storia delle istituzioni così come l’abbiamo intesa noi, sulle pagine della nostra rivista, solo in parte (direi in minima parte) ha ricalcato i confini della preesistente disciplina accademica denominata “storia delle istituzioni politiche”, disciplina alla quale pure molti di noi, quanto a collocazione universitaria, afferiscono e alle cui sorti non sono affatto indifferenti. La rivista piuttosto ha cercato in questi dieci anni di rompere gli schemi consolidati ed ha proposto (o si è sforzata di farlo: non sempre ci siamo riusciti come avremmo voluto) una sua interpretazione della storia delle istituzioni come “incrocio”, “crocevia” tra più tradizioni, tra più saperi specialistici, talvolta tra più metodologie e più linguaggi. Operazione, come s’intende, molto ambiziosa, tanto più se si pretende di realizzarla non attraverso enunciazioni teoriche ma nel corpo vile della ricerca storica, riempiendo ogni sei mesi un paio di centinaia di pagine a stampa.

Per fortuna non abbiamo lavorato da soli. Ci sono stati altri ambienti e gruppi, eminenti studiosi autori di importanti opere storiografiche, che nel corso del decennio hanno, più o meno esplicitamente, più o meno programmaticamente, lavorato agli stessi obiettivi e sulla stessa lunghezza d’onda. C’è, insomma, una linea di tendenza, della quale ci siamo sentiti e ci sentiamo partecipi. E bisogna anche riconoscere che la storiografia istituzionale, sia nell’ambito della storia medievale che di quella moderna e contemporanea, ha di suo dimostrato una maggiore sensibilità che non nel passato verso la prospettiva culturale del confronto. Oggi per istituzioni non si intendono più comunemente solo quelle giuridiche o quelle politiche in senso stretto, ma allo stesso modo quelle economiche, culturali, militari, scientifiche, assistenziali, ricreative; mentre si diffonde sempre più un approccio globale al fenomeno istituzionale, nel quale assumono rilievo non più solo gli assetti formali dell’ordinamento ma il suo concreto e dinamico funzionamento: e dunque il personale e le sue specifiche culture, l’impatto tra l’organizzazione e gli interessi che vi si riferiscono, la sociologia dei gruppi che la compongono e che vi sono racchiusi, l’immagine che di sé l’istituzione trasmette, i nessi tra storia interna dell’istituzione e storia generale del contesto nel quale opera.

La seconda idea-base era quella del rapporto “forte” con le fonti. Non si trattava naturalmente di praticare il feticismo delle carte e degli archivi, ma di riconoscere nell’impianto filologico uno dei tratti distintivi della migliore tradizione storiografico-istituzionale italiana e di coglierne in modo attuale l’eredità virtuosa. Dunque “Le Carte e la Storia”, come suona il progetto implicito nella stessa scelta della testata, ha puntato prioritariamente a valorizzare le carte. Ma lo ha fatto, o ha cercato di farlo, senza chiudere gli occhi davanti ai grandi processi di cambiamento che investono questo specifico settore.

Sono intervenuti in questi ultimi anni, o piuttosto sono venute a piena maturazione, grandi, decisive trasformazioni strutturali: come quelle legate all’avvento dell’informatica; o come quel fenomeno in gran parte nuovo per il quale gli archivi e le biblioteche specificamente dello Stato tendono ad essere sempre più emarginati, mentre la scena delle politiche di settore (che ci piaccia o no) è occupata da istituzioni diverse, spesso non più di natura pubblica e non sempre soggette ai vincoli legislativi tradizionali. Gli stessi modi di produzione del documento contemporaneo tendono a modificarsi visibilmente, sotto i nostri occhi. Complessi problemi, inerenti alle tecnologie adottate ma anche al rapido trasformarsi delle amministrazioni, al mutare della loro natura, impongono nuove messe a punto e riflessioni. Chi sono, oggi, i soggetti produttori delle fonti storico-istituzionali? Qual è e come sta cambiando la loro identità, la loro natura giuridica, il loro modo di operare? Quali sono le modalità tecniche di produzione e di conservazione della documentazione? E’ possibile ragionare ancora sugli archivi come istituti separati, ognuno a suo modo in connessione con una o più istituzioni delle quali, una volta esaurita la loro utilizzazione pratica, conserva le carte di rilievo storico? o non si deve ormai accedere ad una idea più vasta, che tenga conto dell’organizzazione reticolare e pluralistica delle istituzioni stesse e del modo, per così dire, circolare e integrato della produzione e della gestione dei documenti? Sono queste alcune delle domande che la rivista, in varie occasioni, ha cercato di porsi, anche spingendosi in territori ignoti: per esempio verso il censimento di nuove fonti non tradizionali (la rubrica sui siti web, l’attenzione per gli archivi audiovisivi).

Dieci anni costituiscono un lasso sufficiente per concedersi un bilancio. Se guardiamo indietro, al decennio che abbiamo alle spalle, non si può negare che molte cose si sono mosse nel verso che noi desideravamo. La stessa storia delle istituzioni, pur nelle sue perduranti vicissitudini accademiche non sempre brillanti (alcune, relative alla riforma dei trienni di scienze politiche, sono in atto proprio di questi giorni), appare però oggi, dieci anni dopo, più solida e più delineata. Credo si possa dire con una certa soddisfazione che “Le Carte e la Storia”, pur con i limiti che è giusto riconoscere, hanno partecipato di questo consolidarsi delle prospettive.

Guido Melis 

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La rivista dell'Associazione. Dal giugno del 1995, in pubblicazioni semestrali, raccoglie importanti contributi alla storiografia storico-istituzionale e ai suoi sviluppi, con speciale attenzione al suo rapporto con il patrimonio delle fonti.

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