Elezioni in Bosnia Erzegovina – un’ulteriore tappa nel processo di un’evoluzione storico-istituzionale del tutto peculiare

di Nadan Petrovic, Università degli studi di Roma “La Sapienza”

 

Negli ultimi tempi, la già precaria situazione nei Balcani occidentali si è aggravata sotto molti aspetti, fino ad arrivare a sfiorare nuovi conflitti armati. Lo “status quo” definito dagli Accordi di Dayton del 1995 e di Kumanovo del 1999 – che posero fine rispettivamente alla guerra in Bosnia Erzegovina e al Kosovo – è caratterizzato dal ciclico riproporsi di alcuni problemi che vanno dall’irrisolta “questione kosovara”, ai tentennamenti della Serbia nell’intraprendere una definitiva direzione europea, alla situazione politica estremamente tesa in Montenegro, fino ad arrivare alle frustrazioni delle attese della Macedonia del Nord e dell’Albania connesse al processo di adesione all’Unione Europea.

In tale contesto, la parola è tornata, il 2 ottobre 2022, agli elettori in Bosnia Erzegovina. Questi dovevano scegliere, nel quadro di uno dei più complessi e macchinosi sistemi istituzionali a livello internazionale, sia i tre membri della Presidenza collegiale, sia i loro rappresentanti nel Parlamento centrale, nonché in quello delle due Entità costitutive del Paese, Repubblica Srpska e Federazione della BiH.

Prima di passare all’esito della consultazione elettorale vanno fatte tuttavia due doverose premesse. Ai sensi degli Accordi di Dayton, la Bosnia Erzegovina è suddivisa in due entità, la Federazione della Bosnia Erzegovina (nota anche come Federazione “croato-bosgnacca”), costituita sul 51% del territorio e, Repubblica Serba di Bosnia, formata sul restante 49% del territorio (abitato, a seguito delle divisioni etniche e territoriali belliche, prevalentemente della popolazione serbo-bosniaca). Ai sensi della Costituzione che è parte integrante degli Accordi di Dayton. il Paese è governato da una Presidenza collegiale (composta da tre membri, ognuno dei quali viene eletto dai rispettivi gruppi etnici di appartenenza), da un Parlamento bicamerale e dal Consiglio dei Ministri. Tuttavia, anche ciascuna delle due entità possiede una propria Costituzione nonché dei propri organi legislativi ed esecutivi autonomi (presidente, parlamento – monocamerale nella Repubblica Srpska e bicamerale nella Federazione - e governo). La particolarità dell’organizzazione statale-amministrativa bosniaco erzegovese – formalmente uno stato centrale con una forte e peculiare modalità di decentramento (si noti, tra l’altro, che una delle due unità viene denominata Federazione) – non finisce qui: anche all’loro interno le due entità “decentrate” sono articolate in maniera molto eterogenea. Mentre la struttura della Repubblica Srpska risulta centralizzata, la Federazione è articolata in tre livelli (la Federazione, i cantoni e le municipalità). Tale complessa (e costosa) struttura istituzionale e insieme causa ed effetto di una pluridecennale tensione tra chi vorrebbe rafforzare il livello centrale (prevalentemente i partiti a maggioranza bosgnacca) e chi invece privilegia la fortissima autonomia delle entità (parte serbo-bosniaca, senza nascondere, anche dichiaratamente, la volontà di unire un giorno il territorio della Repubblica Srpska alla Serbia); più ambigua la posizione dei croati bosniaci, favorevoli al rafforzamento centrale ma nei fatti più interessati ad una forte autonomia dei cantoni a maggioranza croata e, idealmente, alla creazione di una terza entità.

Per comprendere meglio il quadro della situazione va sottolineato un ulteriore dato di fatto, riportando le lancette dell’orologio molti anni indietro, nel lontano novembre 1990, ovvero alla data delle prime elezioni “libere” in Bosnia Erzegovina (successive cioè alla caduta del Muro di Berlino). A queste stravinse una coalizione dei partiti d’ispirazione nazionalista composti dal Partito d’azione democratica – SDA (partito etnico dei bosgniacchi), della Comunità democratica croata - HDZ e del Partito Democratico Serbo -SDS. Al fine di prevalere sul fronte contrapposto - rappresentato principalmente dagli ex comunisti confluiti in Partito socialdemocratico (SDP) e dalla cosiddetta Alleanza delle Forze Riformiste (SRSJ za BiH), in rappresentanza delle forze politiche e sociali di orientamento “civico” – i tre partiti etnici, che non ‘competevano’ tra loro in merito a un potenziale elettorato, si proposero in una coalizione formale. Grazie alle mirabolanti promesse, questi presero il potere e installarono un sistema tripartito di governo a tutti i livelli. Purtroppo, come del resto era prevedibile, l’incanto durò pochissimo: la coalizione vincente non riuscì a raggiungere un accordo su nessuna singola questione e nel giro di pochi mesi la Bosnia Erzegovina rimpiombò nel caos politico-istituzionale e, successivamente, nell’aprile 1992, in un sanguinoso conflitto. Ma al danno della guerra seguì la beffa della fase post-bellica. I partiti vincitori delle elezioni nel 1990 - che si scontrarono duramente, non solo politicamente - durante la guerra, continuarono a governare il paese anche dopo gli Accordi di Dayton riproponendo ciclicamente temi nazionalisti e creando ad arte i problemi etnici al fine di risvegliare antiche paure e rivendicazioni di tipo estremistico. L’unico cambiamento politico di rilievo avvenuto in oltre trenta anni di declino, è rappresentato dall’affermarsi stabilmente al potere nella Repubblica Srpska - al posto del SDS, il cui leader Radovan Karadzic fu processato e condannato per i crimini di guerra dal Tribunale speciale per la ex Jugoslavia - di Milorad Dodik e del suo Partito dei socialdemocratici indipendenti (l’SNSD), che hanno tuttavia da tempo abbandonato le posizioni socialdemocratiche a favore di quelle nazionaliste e che sono divenuti, da beniamini delle socialdemocrazie occidentali, i principali stakeholder della Federazione russa nella regione. Al netto di questo cambiamento, i tre partiti (l’SDA, l’HDZ e l’SNSD al posto dell’SDS), nonostante molti anni di politiche fallimentari, hanno continuato a monopolizzare le sorti del Paese, creando un sistema di potere tri(etno)partitico ed emarginando ogni forma di opposizione.

In tale contesto, il risultato elettorale, pur carico di qualche novità sul piano politico aggiunge ulteriori incognite alla di per sé complessa realtà politico-istituzionale.

La prima novità consiste in un moderato successo, specialmente nella Federazione BiH  del blocco dei partiti bosniacchi e civici della c.d. “Coalizione dei otto”. Tale blocco, composto dal Partito socialdemocratico della Bosnia-Erzegovina (SDP), Narod i Pravda (NiP), Il nostro partito (NS), il Partito per la BiH (SBiH), l'Iniziativa della Bosnia-Erzegovina Fuad Kasumović, il Movimento di azione democratica (PDA), la Lista Indipendente della Bosnia ed Erzegovina (NES) e del Partito per la nuova generazione (ZnG), il cui denominatore comune consiste nel fatto di non cercare semplicemente il voto non etnico, è riuscito a far eleggere – per la prima volta dal 1990 – quale rappresentante “eletto tra le file del popolo bosniaco-mussulmano”, un esponente dell’opposizione (e non del  Partito d’azione democratica -SDA). Inoltre, anche tra le file del popolo croato-bosniaco, è stato eletto – in questo caso per la seconda volta – un rappresentante di un piccolo partito dell’opposizione (del Fronte democratico, che non fa parte della Coalizione degli otto) e non quello espresso dalla Comunità democratica croata - HDZ. Per quanto riguarda il terzo membro della Presidenza collegiale, “eletto dalle file del popolo serbo-bosniaco” è stato confermato invece il candidato del SNSD.

La seconda novità – in un certo senso anche più rilevante in quanto i poteri dei membri della Presidenza siano in realtà molto limitati, consiste nel raggiungimento di un accordo per la costituzione del Governo centrale tra il SNSD, HDZ e la “Coalizione degli otto” nonché di Governo della Federazione della BiH tra questi ultimi due (HDZ e “Coalizione degli otto”). In altre parole, senza il Partito di Azione Democratica (SDA), che ha formato la maggioranza dei governi del Paese dalla fine della guerra nel 1995.

Secondo i suoi promotori, l'accordo, annunciato come “storico”, dovrebbe cambiare il clima politico nel Paese. Lo stesso è stato raggiunto peraltro in tempi record per gli standard bosniaco-erzegovesi: il processo di nomina del Consiglio dei ministri della Bosnia-Erzegovina dovrebbe essere completato nei prossimi giorni laddove per la nomina del Governo uscente si dovettero aspettare ben quattordici mesi. .

Li finiscono però le novità (o, a secondo del punto di vista, buone notizie). Sebbene la nuova coalizione si sia detta “programmatica” ovvero tesa ad occuparsi dei problemi della vita dei cittadini (i nuovi partner della coalizione si sono concentrati su ciò su cui possono essere d'accordo e hanno deciso di mettere da parte le loro differenze) alcune divergenze di fondo appaiono davvero incolmabili. Ad esempio, quelle relative alla collocazione internazionale del Paese - con il SNSD che si oppone con forza all’adesione alla NATO, ma nei fatti anche all’UE – nonché in relazione all'organizzazione interna del Paese. Inoltre, non è del tutto chiaro come dovrebbe funzionare effettivamente la nuova maggioranza parlamentare, a causa di una coalizione insolitamente ampia che includerà almeno dieci partiti - le cui opinioni politiche variano dall'estrema destra all'estrema sinistra - ma anche a causa delle minacce del Partito di azione democratica (SDA) di far bloccare tutti i provvedimenti importanti nella camera alta del parlamento federale. Infatti, la stessa SDA, pur rimanendo fuori dell’accordo di Governo ha vinto individualmente il maggior numero di mandati nella Federazione BiH. Ecco che allora, in una specie di giostra orientale, dove le possibili unioni politiche nascono e muoiono nell’arco della stessa giornata, tutto rimane ancora molto incerto.     

Il che, al di là di tutti tecnicismi, riporta al nocciolo della questione: in un quadro di totale paralisi politica - istituzionale (basti citare che il governo della Federazione BiH era in "mandato tecnico" per tutto il periodo tra le due elezioni) ed economico-sociale, né le prospettive mirabolanti non realizzate, né i clamorosi insuccessi in tutti campi ha tuttora privato i partiti di ispirazione nazionalista (SDA, HDZ e SNSD) di un importante consenso popolare. Quale il risultato, ad oltre venticinque anni dagli Accordi di Dayton, il paese risulta diviso in territori etnicamente omogenei, senza efficienti istituzioni comuni e con un’economia prevalentemente assistita mentre registra tassi di emigrazione senza precedenti (secondo le stime della Banca Mondiale, la Bosnia-Erzegovina è diventata oggi il paese che sta perdendo la sua popolazione più velocemente).

Quando si scriverà la storia dei paesi Est europeo a seguito del processo di democratizzazione avviato dalla caduta del Muro di Berlino, Bosnia Erzegovina di certo non sarà ricordata come una “success story”.

 [pubblicato il 17/01/2023]

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