L’epoca di Gorbachev e l’Internazionalismo socialdemocratico

di Paolo Borioni

2 settembre 2022

Gli anni di Gorbachev possono essere interpretati da diversi punti di vista, ma il mio personale approccio alla ricerca storica e le mie ricerche  riguardanti il socialismo europeo mi portano a proporre quello di una fecondazione, in parte non intenzionale ma certo non casuale, fra culture politiche sparse per l’Europa e capaci di circoli virtuosi. Willy Brandt di sicuro diede inizio ad una semina e ad una contaminazione decisiva. Ciò avvenne prima con la Ostpolitik varata al tempo della sua cancelleria, poi, in seguito alle controverse dimissioni del 1974, con la sua presidenza dell’Internazionale Socialista (1976): rafforzando e rinnovando il socialismo europeo, costruendogli intorno nuove reti e seminando in tutto ciò ovunque concetti capaci di fruttificare.

Ad esempio esiste una gran differenza fra la Ostpolitik di Merkel e quella di Brandt: quella di Merkel ha confidato pressoché esclusivamente sulle virtù (troppo spesso credute autosufficienti) del commercio pacificante e dell’interdipendenza economica. Sempre dubbiosa (come del resto la Francia e l’Italia) rispetto all’allargamento della NATO, la Germania ha così pensato che la propria  capacità commerciale potesse bilanciare le insidie d’una sicurezza NATO che moltissimi osservatori ed esperti sapevano essere troppo unilateralmente perseguita. Si è pensato lungamente che l’interdipendenza commerciale potesse prevenire il frutto velenoso della “sicurezza unilaterale” dell’Occidente, ovvero la sfiducia e poi l’aggressività russa in Ucraina. Invece, l’insufficienza dell’approccio ha mutato l’interdipendenza in sfiducia aperta (da parte russa) e in dipendenza energetica (da parte tedesca e non solo).

Le strade aperte dalla Ostpolitik di Brandt, ma soprattutto l’opera internazionalista di Brandt e dei socialisti in genere, invece costruì iniziative, concetti e reti orientate a produrre un’interdipendenza non solo economicista, e una moltiplicazione della fiducia in molti campi. Ciò anche per risolvere il dilemma tedesco: continuare (certo) a crescere come potenza economica, ma affermandosi anche come attore politico di primo piano, e creando al contempo tutte le condizioni per dissociare permanentemente questo ruolo dall’identità di potenza militare. Per fare ciò occorreva coerenza etico-ideologica e senso della storia (che non mancava ovviamente a Brandt, o a Kreisky, per le esperienze vissute fra le due guerre), benché tutto ciò non fosse disgiunto dal realismo politico.

La comparazione fra l’oggi e l’epoca di Gorbachev ci dice che la natura delle culture politiche nazionali (o sovranazionali) poste in circolazione può produrre interazioni virtuose o viziose nelle relazioni internazionali. Può per esempio completare l’effetto insufficiente delle relazioni commerciali, o al contrario contribuire a far puntare ingannevolmente sulla sua sufficienza.

L’affermarsi politico di Gorbachev e poi della sua proposta di distensione si comprende insomma meglio ricordando che non solo Brandt, ma in genere i leader dell’internazionalismo socialista si aprirono a culture politiche di un socialismo diverso (da quello “spurio” del New International Economic Order a quello sudamericano) sulla base (fra l’altro) di un’idea ampliata e progressiva di cosa causasse l’instabilità, e dunque di cosa favorisse le tensioni internazionali.

L’approccio “cold warrior” (semplificando) faceva coincidere grandemente l’instabilità con la manovra occulta dell’avversario strategico, per esempio in Sudamerica. Quello dell’Internazionale Socialista, sempre più attiva ed accogliente nel sud del mondo, era che la radice almeno principale dell’instabilità fosse socio-economica. Questo giudizio di base si afferma particolarmente durante la presidenza Brandt dell’Internazionale Socialista che si protrae per tutti gli anni 1980, ma era già componente essenziale della visione di paesi in cui il socialismo democratico era egemonico: dai neutrali come Svezia e Austria, ai membri Nato come Norvegia, Danimarca e Paesi Bassi (presto anche i paesi iberici di Gonzales e Soares).

Ciò era connesso ad altri due elementi presenti e fortemente interattivi nell’Internazionale Socialista: c’era l’esigenza di uscire dai classici confini europei della socialdemocrazia ovvero, come accennato sopra, sia di farsi carico dei problemi di sviluppo del Sud del mondo, sia di aprirsi a socialismi diversi e nuovi.

Ma c’era anche un altro elemento importante: tramutare la storia socialdemocratica recente dei paesi occidentali in proiezione internazionalista. La generazione socialista al potere dagli anni 1960 in poi era particolarmente adatta a mettere a frutto la realtà storica per cui, in misura diversa,  i paesi della socialdemocrazia (Svezia, Austria, Germania, tutti) avevano acquisito stabilità solo con la riforma profonda delle rispettive società ed economie capitalistiche.

Era del resto per questa via che si rifiutava anche la dottrina “realista” della stabilità come prodotto esclusivo dell’equilibrio di potenza.  Per sostenere invece la riduzione dell’instabilità mediante la lotta alle disuguaglianze globali, un nuovo rapporto Nord-Sud e molto altro: questo fu la Commissione Brandt, almeno inizialmente promossa dalle alte sfere della Banca Mondiale.

Ma questa complessa maturazione dell’ internazionalismo socialista (non certo sviluppato fino a pochi lustri prima) conduceva conseguentemente, al momento inevitabile di affrontare anche il negoziato sulla sicurezza, a generare un altro concetto: non l’equilibrio del terrore, ma la sicurezza condivisa. Eccoci ad una ulteriore idea-base ormai assente da decenni, ed all’istituzione che la elaborò in modo definitivo: la commissione Palme. È peraltro proprio mediante questa commissione che la semina di concetti ed idee diviene sistematica e il rapporto fra le varie facce dell’internazionalismo socialista e Gorbachev si fa più stringente. Olof Palme comincia a presiedere la commissione quando (come quasi mai capita) il suo partito socialdemocratico non è al governo. Eppure i frutti non tardano a venire anche perché le reti di esperti e statisti (consolidati o in divenire) formatesi nei lustri precedenti vi trovano una congiunzione. Nella commissione a generare il concetto di “sicurezza condivisa” sono numerose e importanti personalità capaci di riportarne nei propri paesi l’impulso. Ma anche di mettere a frutto l’appartenenza a reti di leader, futuri governanti, influenti esperti e consiglieri. Fra di essi il sovietico Georgi Arbatov, direttore di lungo corso dell’ISKAN, centro per lo studio di USA e Canada. Ma anche (fra i molti) Harlem Bruntland e Joop Den Uyl, la norvegese e l’olandese presto a capo di due paesi Nato. Cui si potrebbe aggiungere Bahr e Brandt in Germania, Holst in Norvegia, Gareth Evans in Australia; oltre a Palme, Theorin, Dahlgren in Svezia, David Owen nel UK; Cyrus Vance negli USA; Obasanjo and Ramphal nel sud del mondo. Arbatov, che considerò la Commisione Palme degna di una definizione apposita (INGO: ovvero organizzazione non governativa internazionale), afferma nelle sue memorie che il rapporto della Commissione fu decisivo affinché Gorbachev diffondesse l’idea di sicurezza condivisa nel proprio paese. E puntualizza che le reti di decisori strettamente connesse alle elaborazioni della commissione andarono anche oltre le partecipazioni esplicite, estendendosi a Rajiv Ghandi, Bruno Kreisky, Pierre Trudeau, Bettino Craxi e Ingvar Carlsson, che avrebbe sostituito Palme come primo ministro di Svezia dopo l’assassinio del 1986.

Un altro sovietico come Andrei Kokoshin, anche lui alla guida dell’ISKAN e forse il più influente esperto sovietico di difesa degli anni 1980 (tanto da assurgere a ministro della difesa nel 1992), afferma la grande importanza della commissione Palme nello sviluppo della proposta Gorbachev. Sarà insomma possibile all’URSS, guidata dallo statista russo appena scomparso, promuovere la “sicurezza condivisa” e la “difesa non offensiva” (altro concetto elaborato negli ambienti della Commissione Palme) nella comunità internazionale degli anni 1980. Per rendere possibile questo fu decisivo il coraggio di Gorbachev e le sue grandi visioni, ma  anche il fatto che i “falchi” del PCUS non poterono accusarlo di astrazione dalla comunità internazionale e dal mondo reale. Ciò significa ricordarlo con tutto l’humus di idee che negli anni 1980 gli permise di non reagire aggressivamente alla superiorità USA e alla pericolosa sfida di Reagan (con cui un Brandt ancora decisivo nella SPD e nella internazionale socialista entrò in aperto contrasto) favorendo invece una straordinaria stagione di fiducia.

Quella di Gorbachev fu insomma un’epoca in cui si cercò di generare una contaminazione dinamica. Si tentò di abbandonare dottrine troppo legate alle fissità: di superare il puro equilibrio di potenza realista, di distanziarsi dalle eterne e immutabili leggi geopolitiche, di dismettere la dottrina delle democrazie per definizione mai aggressive e dunque (paradossalmente ed insostenibilmente) autorizzate all’espansione. Si cercò al contrario di puntare, mediante reti e istituzioni internazionali, sulla diffusione di contenuti cooperativi nei “depositi” ideali nazionali. Il concetto di “deposito’, peraltro, si adatta anche a definire le caratteristiche e gli atteggiamenti dei diversi paesi senza autorizzare fissità o determinismi. “Deposito” è qualcosa di composito e di variabile. Esso reca elementi del passato, anche geopolitici, ma non è una fissità, nemmeno rispetto a quali elementi dei depositi nazionali vengono privilegiati in un certo contesto storico, o a come essi vengono combinati per ottenere sintesi nuove.

La SPD di Brandt aveva mutato il proprio deposito ideale nazionale costruendo a sua volta nuovi percorsi e finalità per l’affermazione dell’interesse tedesco. Ed aveva, con altre socialdemocrazie, reso globale l’impatto dell’Internazionale Socialista. La “sicurezza condivisa” e la “difesa non offensiva”, cui aveva grandemente contribuito il socialismo internazionale, avevano poi integrato il “deposito” nazionale sovietico. Ciò rese più facile e più sostenibile la leadership di Gorbachev, che  cercava modi non aggressivi di reagire alla sfida strategica ed ideologica di Reagan. Anche perché sapeva che l’URSS non l’avrebbe retta.

La situazione odierna, viceversa, si spiega con il ricorso, già da anni, ai contenuti meno cooperativi dei depositi nazionali ed ideologici. Così, invece che culture e reti politiche capaci di circoli virtuosi, si sono affermate, ben prima del 24 febbraio, troppe fissità e vieti conformismi.

 

 

 

 

 

Cerca nel sito

Le Carte e la Storia

La rivista dell'Associazione. Dal giugno del 1995, in pubblicazioni semestrali, raccoglie importanti contributi alla storiografia storico-istituzionale e ai suoi sviluppi, con speciale attenzione al suo rapporto con il patrimonio delle fonti.

MAGGIORI INFORMAZIONI

- Edizione IL MULINO -

Free Joomla templates by L.THEME