I modelli sociali e le stragi di massa negli USA. Alcuni ragionamenti

di Paolo Borioni

 

Prosegue da giorni la riflessione sull’ennesima strage di ragazzi perpetrata negli USA. Anche la differenza fra modelli sociali è stata considerata, più o meno fecondamente, come spiegazione del fenomeno. Io stesso, con pochi minuti di anticipo, vi sono stato coinvolto, e credo che, autocriticamente, il risultato del dibattito non sia stato del tutto soddisfacente.

 

(https://www.raiplaysound.it/audio/2022/05/Tutta-la-citta-ne-parla-del-26052022-45aa2230-3b34-4ab9-b418-f39c3effdb9e.html?fbclid=IwAR1PYhjzzzjq69nJWTWX1r4lcyyChuZ-rlR_DUbFWYFfOKMUhSF1kUT-YBs&fs=e&s=cl)

 

Per questo è bene chiarire che, per quanto il ricorso a fattori enormi come “i modelli sociali” possa essere interessante, è bene partire dai dati più concreti, come la forza di cui gode la promozione degli armamenti negli USA. Inoltre, evocare la “epopea del west”, oppure il maggiore individualismo nordamericano, rischia di cristallizzare tutto, a cominciare dalla storia, in qualcosa di sempre uguale, e non dinamico come sono le società e la storia. Occorrerà ricordare che ad esempio noi siamo stati una società molto più violenta di oggi (mentre attualmente abbiamo tassi di omicidi, anche di femminicidi, bassissimi), e che un paese come la Svezia lo è oggi molto più di qualche decennio fa, oltre ad essere molto più disuguale. Ci sono pochi dubbi che una diversa regolamentazione possa contenere enormemente l’eredità negativa del secondo emendamento, quello che in USA secondo alcuni deve continuare a consentire la libera circolazione delle armi. Ma, fra i valori costitutivi degli Usa, lo dico a rischio di sembrare paradossale, forse conta maggiormente il primo emendamento del secondo, ovvero quello sulla libertà di espressione  (“Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.”) rispetto a quello sulla libertà di portare armi (“A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed.”). A ben vedere il secondo, per quanto discutibile nel senso che può comportare contraddizioni con il monopolio della violenza degli Stati moderni, però non convalida necessariamente l’idea di una società violenta poiché individualista e refrattaria alla regolamentazione dello Stato. In effetti, nella “Kongeloven”, ovvero la legge seicentesca che regolava e sanciva la società dell’’assolutismo monarchico danese, spiccava il principio per cui “Solo il re ha il potere delle armi”. Ma è bene chiarire che ciò significava soprattutto espropriare i nobili del potere politico-militare.

Nel secondo emendamento USA, a paragone di ciò, i valori che si scorgono sono piuttosto di tipo “democratico repubblicano”, cioè di milizia per lo Stato. Ma questo non condurrebbe necessariamente a legislazioni di tipo “individualista”, né sugli armamenti né su molto altro. È bene chiarire che, per quanto il modello sociale USA in effetti promuova valori più individualistici (in cui cioè le libertà “dal governo” sono più forti dei diritti sanciti “grazie al governo”, per esempio sociali) rispetto a quelli europei e specie socialdemocratici, ciò non basta a chiarire tutto. Occorre un livello di specificazione maggiore, che renda i modelli sociali una possibile spiegazione anziché foreste pietrificate buone per ogni dibattito in ogni millennio. In base alla norma espressa nel secondo emendamento, in effetti, lo Stato USA potrebbe mantenere la propria coerenza costituzionale legiferando nel senso che la diffusione di armi va fortemente ristretta (come da noi) fintanto che non si presentino seri pericoli per la repubblica, tali cioè da armare i cittadini. Poiché una delle fonti della potenza USA è la pressoché assoluta inattaccabilità del proprio territorio da minacce straniere, sarebbe ben possibile legiferare scindendo la circostanza storica che ha partorito quell’emendamento dalle circostanze odierne. In queste ultime, invece, a contare è soprattutto il modo in cui potentissime lobbies, come quella delle armi, sono legittimate a esprimersi, usando a proprio vantaggio quanto scritto sia nei primo sia nel secondo emendamento. Fra gli essenziali fattori a consentirlo c’è la sentenza della Corte suprema Buckley vs Valeo del 1976, che in sostanza equipara la corresponsione di grandi cifre nelle campagne elettorali ad ogni altro modo di esprimere sacrosantamente le proprie opinioni. Ovvero, come alludevo sopra, proprio al primo emendamento. Nessuna sentenza in seguito ha efficacemente mutato tali dati, per cui nei due grandi partiti USA sono numerosi i parlamentari fortemente condizionati dall’associazione nazionale dei produttori di armi (NRA). Biden, e prima Obama, hanno tentato di mutare le cose, ma non è, ancora, servito. Questa “libertà di espressione” legata alla capacità di influenzare la politica, fino a forme che potremmo definire “corruzione preventiva” (perché il voto parlamentare è già “comprato” prima dell’elezione) promuove la diffusione non solo di armi direttamente derivate dal fucile militare M 16, ma anche una loro “customerizzazione”. Queste versioni di fucile automatico sono più leggere, facilmente portabili, e anche colorate, se lo si vuole, in modo gradevole, rosa o blu. Ad ogni modo, se si vuole tornare alla questione dei “modelli sociali”, occorre intersecarli con i modelli di finanziamento della politica. Indubbiamente la tipologia e forza del rapporto sindacato-politica e lavoro organizzato-Socialdemocrazia, permette di produrre un finanziamento dei partiti che bilancia e limita il potere dei grandi interessi economici. Per esempio, le socialdemocrazie nordiche e il Labour anglosassone (anche in Nuova Zelanda ed Australia, dove ha appena vinto) garantiscono che, almeno, non tutte le forze principali del sistema politico siano egualmente invase da determinati interessi capitalistici. Inoltre, la tendenza “interclassista” del cristianesimo democratico tende a differenziare le proprie fonti di finanziamento, cosicché Socialdemocrazia e centro-destra europeo spesso sono anche convergenti nel promuovere la centralità del finanziamento pubblico. Spicca in questo, lo ripeto spesso, il migliore sistema in assoluto, quello tedesco, che finanzia insieme le fondazioni culturali dei partiti, i partiti in base ai voti presi e (importantissimo) premia con quote di finanziamento pubblico i partiti in base ai piccoli finanziamenti provenienti da iscritti e sostenitori. Ora, esiste un forte rapporto fra (da un lato) modello sociale (in cui lo Stato promuove diritti sociali e si legittima anche grazie ad essi) di cui la classe lavoratrice organizzata ė una parte essenziale, e (dall’altro) un finanziamento della politica concepito in modo più “europeo” e specie “tedesco”. Tutto questo non potrebbe mai condurre all’equazione della sentenza USA del 1976: soldi=uguale libertà di espressione. Insomma, la presenza storica di culture politiche tendenti ad un diverso modello socio-economico promuove anche un diverso modo di finanziare la politica. Diremmo, nel caso europeo, un sistema più equanime rispetto ai vari impulsi, per quanto in Europa abbondino i segnali di regressione (con culture politiche scarsamente rappresentative e democrazia sempre meno inclusiva, a partire dal nostro paese). Azzarderei che il sistema tedesco raggiunge, nonostante tutto, la migliore sistemazione perché rispecchia una convergenza fra socialdemocrazie e centro-destra ordo-liberale che forse è interessante descrivere sommariamente. Da un lato la socialdemocrazia tende (meglio nel passato come si sa) a promuovere un’economia che compete senza sfruttamento del lavoro, e obbliga così all’innovazione. Dall’altra parte l’Ordoliberalismo, pur lontano dalle aspirazioni socialdemocratiche di eliminazione dello sfruttamento, mira a costruire le regole fondamentali della perfetta concorrenza una volta per tutte (una “Costituzione economica”) con pochissimi adattamenti “politici”necessari. Ebbene, questo assetto tecnocratico (banca centrale indipendente, inflazione, welfare e salari sotto il potenziale, stretta regolamentazione della concorrenza mediante autorità poco o nulla influenzate da dinamiche “politico-elettorali”) significa anche che poi non servono (e non sono anzi auspicabili), rapporti troppo  condizionanti fra politica e interesse immediato d’impresa. Del tipo del finanziamento massiccio equiparato ad una libertà fondamentale. Ciò, sia chiaro, ha effetti positivi e negativi. Spesso la politica USA, per produrre domanda e crescita, (favorendo così sia le imprese sia le famiglie che senza lavoro non possono contare su quote di welfare paragonabili ai modelli europei) è più in grado di intervenire, ed in effetti agisce (pur con molte distorsioni) da motore economico del mondo. Invece quella tedesca, e quella Ue molto “ordoliberalizzata”, è più rigida nella reazione alle crisi, con conseguenze negative che tutti conosciamo, e che comprimono anche lo spazio e della socialdemocrazia. Rispetto agli aspetti distorsivi e correttivi del finanziamento alla politica, invece, senza dubbio il modello ordoliberale, anche perché bilanciato dal sempre forte impatto storico  socialdemocratico, ė nettamente da preferire. Non sarebbe male che anche il sistema di finanziamento italiano si avvicinasse a quello tedesco, pur accontentandosi di risorse assolute minori.

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