Radicalizzazione, banalizzazione e neologismi nel discorso politico (Italia e Slovacchia)

Radicalizzazione, banalizzazione e neologismi nel discorso politico (Italia e Slovacchia).

Radicalization, trivialization and neologisms in the political discourse (in Italy and Slovakia).

 

Mgr FRANCESCO BONICELLI VERRINA,

Univerzita Komenskeho v Bratislave, Všeobecna Jazykoveda.
 

È generalmente osservabile nel mondo occidentale l'emergere (o riemergere) di parole, discorsi, espressioni che sembravano ormai "fantasmi" e che invece ricevono nuova vita nel discorso pubblico e nel modo di far politica e rivelano visioni del mondo e degli altri esseri umani che pareva la storia avesse sepolto, alle quali chiunque, a qualsiasi livello, avesse fatto riferimento pubblicamente (a maggior ragione rappresentando un'istituzione), per lo meno nella seconda metà del Novecento, sarebbe stato considerato quantomeno scorretto, inopportuno, estremista, e relegato in un angolo del dibattito politico e del confronto pubblico.

Se è vero che le istituzioni democratiche e i partiti dell'Italia democratica post-fascista erano, nel dopoguerra, pieni di "ex fascisti", per esempio, ammesso che anche tanti di costoro potessero ancora intimamente essere in accordo con il defunto regime, l'importante era quello che dicevano e facevano di conseguenza in accordo alle parole della Costituzione del nuovo regime democratico.

Nessun politico di sinistra o di centro o di destra degli anni '70 o ‘80 avrebbe definito, almeno pubblicamente, "politicamente divisiva" la memoria dell'olocausto, invocando magari un "equo trattamento", da parte della storiografia, di vittime e carnefici, o sostenuto apertamente idee razziste nei confronti di altre fedi e culture, nessuno avrebbe colorato di "politico" teorie, osservazioni, constatazioni autorevoli scientifiche, pensando poi di potersi definire ed essere definito "di centro" o "moderato".

Senza l'arrogante pretesa di trovare risultati o soluzioni, in poche pagine, a una questione tanto complessa, sembra però opportuno, anziché rischiare di confondere i concetti di scientificità e di rigore metodologico con quelli di asetticità e sterilità, che portano a scansare ogni responsabilità e presa di posizione pubblica, cercare almeno di osservare e registrare questo fenomeno permettendosi qualche considerazione, forse anche personale, ma senz'altro fondata, che contribuisca se non altro ad un aumento dell'attenzione e della sorveglianza critica sui fenomeni di "distrazione di massa" che probabilmente sono complici dello stato dei diritti umani, civili e ambientali nel mondo e di una certa degenerazione delle democrazie (registrati da anni dallo Human Rights Watch e dagli osservatori sulla democrazia nel mondo, come per esempio quello della Fondazione Feltrinelli o dell'Internazionale Progressista).

Ritengo come il linguista tedesco Victor Klemperer che molto spesso la lingua e i suoi usi rappresentino una spia di questi fenomeni di "distrazione di massa" e siano un punto d'osservazione privilegiato per cogliere certe tendenze che non rimangono poi confinate all'uso della lingua ma si ripercuotono sulla vita e sulle società in generale, come appare, senza bisogno di dimostrazioni, dai fatti irrazionali della storia anche più recenti e attuali. Diceva il poeta tedesco Heinrich Heine che dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche le persone.

I dispositivi digitali e i social network hanno verosimilmente trasformato una parte dei consumatori di messaggi politici in moltiplicatori attivi di quegli stessi messaggi e in polemisti più o meno fanatici, più o meno consapevolmente al servizio del dilagare di certe tendenze politiche e discorsive.

Sembra quasi che anche grazie a questi mezzi la polemica fanatica sia diventata norma di qualsiasi dibattito anche non necessariamente politico, una norma irradiata forse da una certa pratica del discorso politico che ha politicizzato tutto (pur nella concordemente proclamata "fine delle ideologie").

Per descrivere e definire questi fenomeni può essere valido e interessante un approccio interdisciplinare che fornisca alla riflessione linguistica utili apporti dalla filosofia, dalla storiografia, dall'antropologia, dalle scienze sociali e politiche, dalla psicologia, dalla pedagogia, dalla letteratura.

 

  1. Fantasmi del passato, implicature e "slogan sospesi".

 

Chiunque avesse sostenuto pubblicamente certe posizioni fino a vent'anni fa circa, sarebbe stato consapevole di appartenere ad ali estreme e con lui i suoi sostenitori, che oggi invece possono far rimbalzare discorsi razzisti e anti-democratici o illiberali o pericolosamente anti-scientifici (per esempio i movimenti NO-Vax) nella vita quotidiana, sentendo semplicemente di affermare il proprio diritto ad esprimere una "libera" opinione su tutto, questo moltiplicato per il potere di diffusione che oggi danno i social network.

Ognuno si sente per altro titolato a parlare ex-cathedra, ben lungi da quel senso delle "istituzioni commoventi" di cui parlava il poeta, scrittore e regista italiano Pier Paolo Pasolini, iconoclasta e ribelle, ma difensore delle istituzioni libere e democratiche, come confluenza di sacrifici, battaglie, libertà[1].

In particolare è utile soffermarsi sulla massima di relazione, particolarmente efficace nella pubblicità commerciale e nella propaganda politica.

È conforme (non vero o verificabile/falsificabile) agli scopi della comunicazione dire "buono come lo zucchero" o "nero come un corvo", ma anche, "fumare come un turco" o assai peggio dire: "essere ricco e avido come un ebreo".

Sarebbe poco sensato e poco cooperativo dire "alto come un francese" o "nero come una scatola", dal momento che né i francesi sono esempi tipici di persone alte, né le scatole sono esempi tipici di cose di colore nero.

Nemmeno tutti gli ebrei sono ricchi e tantomeno avidi, eppure questo esempio, come altri, risulta ancora, nonostante tutto, straordinariamente cooperativo in diversi contesti e largamente usato in discorsi politici, insieme ad altri vecchi e nuovi analoghi stereotipi xenofobi, enunciati in modo anche più raffinato e implicito e non ancora filtrati dagli anticorpi della cultura.

Grillo chiamò "vecchia puttana" il premio Nobel italiano Rita Levi Montalcini (sopravvissuta all'olocausto) "quella con lo zucchero filato in testa", nel 2001. Nel 2012 ha incominciato a parlare di "lobby ebraica", espressione ormai parte del linguaggio politico italiano.

L'anno dopo una deputata del partito politico fondato da Grillo, Movimento Cinque Stelle, Roberta Lombardi, definì il fascismo un'ideologia "con un altissimo senso dello Stato e della famiglia" e Grillo rincarò la dose affermando: "Hitler era sicuramente un pazzo malato, ma la sua idea di eliminare gli ebrei aveva come obiettivo di eliminare la loro dittatura finanziaria", definendo poi il giornalista Gad Lerner "verme ebreo".[2]

Ciò è tanto più interessante in quanto il partito di Grillo non solo prende milioni di voti, ideologicamente trasversali (ed ha dimostrato una buona dose di spregiudicatezza e disinvoltura nelle alleanze di governo con partiti molto diversi fra loro), ma soprattutto non è dichiaratamente nato sotto la stella dell'antisemitismo, pur evidentemente praticandolo (e negando di praticarlo), e rifiutando particolari connotazioni ideologiche, presentandosi fin dall'inizio piuttosto come una sorta di movimento anti-politico e "piglia-tutto".

Un altro fantasma, che nulla ha a che vedere con l'antisemitismo, è quello di Enrico Berlinguer, storico e popolarissimo segretario del Partito Comunista Italiano (1972-1984), risorto nelle sedi della Lega con un fumetto che gli fa dire, evidentemente rivolto all'elettorato di sinistra che la Lega spera di strappare alle forze in campo avversarie: "Ma non vi vergognate di votare ancora PD (Partito Democratico)?".

Si tenta qui, forse, un po' sulle orme del modello di Salvini, Vladimir Putin (basti pensare alla sua riabilitazione ed esaltazione di Stalin), di accreditarsi sì come forza nazionalista, sovranista, euro-scettica, anti-immigrazione (nel blocco "euro-sovranista" di Marine LePen, la quale pure riesce a strappare voti all'estrema sinistra francese), e anche come restauratori di un certo "comunismo tradizionale", "tradito" dal centro-sinistra democratico. "Berlinguer vi prenderebbe a sputazzi (sputi)" ha detto Salvini il 18/01/2020 ad alcuni contestatori ad un suo comizio a Maranello (Emilia-Romagna).

La pubblicità si serve a piene mani di comunicazione per relazione. Se ci dicono "sicuro come l'aspartame", l'implicatura è che l'aspartame debba essere un fulgido esempio di sicurezza.

Ciò non accadrebbe se ci venisse comunicato lo stesso messaggio per asserzione, del tipo: "l'aspartame è la sostanza più sicura". Anche nel destinatario più sprovveduto, questa asserzione susciterebbe probabilmente un sospetto critico, farebbe scattare un po' di scetticismo, mettendo in allerta nei confronti dell'emittente, risultando addirittura poco credibile e controproducente allo scopo.

L'interessante è che questo tipo di comunicazione riesca a trasmetterci un contenuto molto discutibile. Si tratta di un'informazione difficile da trasmettere per immagini, quindi era necessario codificarla in un enunciato linguistico, ma non in maniera diretta e assertiva, bensì in maniera indiretta ed implicita (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 51).

Così si è fatto e così si è venduto aspartame, per esempio, e si è continuato a farlo anche ben oltre l'arrivo di pubblicazioni scientifiche in merito ai suoi danni alla salute. Perché spesso le informazioni che ci arrivano per implicatura, specie di relazione, ci scivolano nell'inconscio e si sedimentano, grazie a quello stesso principio cooperativo, dono dell'evoluzione.

Non stupisce che per George Orwell l'abilità retorica dei politici di 1984 consista nel dire l'indicibile, convincere delle cose più disumane e inascoltabili, trasformando ed edulcorando mostruosità.

Il "lavoro sporco" di inserire un contenuto discutibile è sempre a carico del destinatario, inconsapevole co-creatore di posverità, il quale non dovrà far altro che credere a sé stesso (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 52).

Lo storytelling politico conta sempre più clamorosamente, secondo lo studioso francese Christian Salmon (2014), sul coinvolgimento attivo di masse di ascoltatori che diventano da passivi ricettori ad "attivi" co-protagonisti (come in un karaoke). Masse sempre più attive nella co-formulazione e diffusione dei messaggi politici, senza ulteriori mediazioni, anche attraverso la virtualizzazione dell'adunata, sui social network.

Come già sapeva il retore sofista ateniese Gorgia (per il quale la parola era farmaco e veleno), contemporaneo di Socrate, l'oratore di successo non si augura affatto che il suo lavoro sia guardato con attenzione, compreso nei dettagli, analizzato a fondo, si augura precisamente il contrario.

I messaggi pubblicitari e propagandistici, sono confezionati contando su queste condizioni di arrivo, puntano tutto sull'elemento più visibile ed evidente: lo slogan, poche parole che verranno lette anche senza volerlo al primo sguardo, anche da chi scorra la rivista o il sito web in cerca d'altro, o guidi su una superstrada o cammini lungo un marciapiede (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 54).

Un destinatario, insomma, è raggiunto e influenzato, persuaso da allusioni, non accorgendosi di ciò che non va nel messaggio, a meno che non sia decisamente diversamente orientato (avverso) e/o abbia un'alta soglia dell'attenzione, ovvero sia in allerta, ma l'attenzione è un bene limitato della nostra mente, eroso da sempre più stimoli. Più siamo distratti, più siamo influenzabili (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 56).

La vaghezza linguistica, anche sintattica, è una componente costitutiva fondamentale di questo processo nel linguaggio politico, accompagnata da un generale impoverimento del linguaggio, in cui tutti sono in effetti davvero protagonisti.

Parlare per esempio di "politica del fare" (come fanno Renzi, Salvini, Di Maio e altri) è sintatticamente vago. A soffermarsi viene da domandare e domandarsi: "Fare cosa?", il complemento oggetto dovrebbe persuaderci, se mai, ma la sua assenza dovrebbe lasciarci quanto meno perplessi, sospettosi e scettici.

Chi, da sinistra a destra, usa questa espressione inflazionata nei suoi comizi, sa bene che chi lo ascolta non si soffermerà sull'analisi grammaticale, che in questo caso non denuncia tanto un'assenza di regolarità, quanto di un programma o del coraggio o della competenza di esplicitarlo. La povertà e l'abbruttimento del linguaggio sono per Victor Klemperer (linguista ebreo tedesco), nel suo diario Lingua del Terzo Reich, un sintomo di deterioramento politico, anche in grado di sopravvivere ai propri responsabili, con ampi effetti sul lungo termine[3]. E il linguaggio influenza il nostro modo di comportarci, relazionarci, vedere il mondo, immaginare il futuro, ricordare il passato.

La collaboratività del ricevente, innescata e sfruttata, completa con quello che vorrebbe sentirsi dire o quel che non si può dire, in quanto magari espressione delle più oscure pulsioni.

I cartelloni di Forza Italia, nella campagna elettorale per le elezioni politiche italiane del 2006, sfruttavano sistematicamente questa strategia:

 

-"Di nuovo la tassa di successione? No, grazie"

-"I NO-GLOBAL al governo? No, grazie"

-"Fermiamo le grandi opere? No, grazie"

-"Più tasse sui tuoi risparmi? No, grazie"

-"Più tasse sulla tua casa? No, grazie"

-"Immigrati clandestini a volontà? No, grazie" (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 61).

 

Ciascuno dei messaggi, esplicitamente, prendeva una posizione negativa su ipotesi impopolari o comunque presentate in modo da suonare indesiderabili. Apparentemente il partito in questione si limitava a dichiararsi contrario a queste eventualità, con un cortese "no, grazie". Ciascun messaggio veicolava in maniera implicita un altro contenuto ben più importante, e cioè che lo schieramento avversario, se avesse vinto, avrebbe perpetrato quei provvedimenti.

Secondo Lombardi Vallauri (2019) esattamente come il dichiarare: "No, grazie, non mi serve l'ombrello" avverte chi ci ascolta che ci è stato offerto un ombrello (anche se non fosse così), idem, in regime di campagna elettorale, il dire "no, non vogliamo di nuovo la tassa di successione, non vogliamo immigrati clandestini a volontà" induce l'elettore a pensare che vi sia il "pericolo" che la tassa venga reintrodotta o che vi sia un atteggiamento quanto meno "pressapochistico" nei confronti dell'immigrazione, da parte degli avversari dell'emittente.

Il giornalista Giuliano Ferrara arrivò addirittura a fondare un partito con il nome "Aborto? No, grazie", per le elezioni politiche italiane 2008 e le europee del 2009. L'escalation si è compiuta alle elezioni politiche del 2018 con lo slogan della Lega di Matteo Salvini: "Schiavi dell'Europa? No, grazie".

A riprova dell'influenza della lingua sul modo di pensare e di far politica, nessuno nel 2006 avrebbe potuto proditoriamente accusare in maniera assertiva e diretta i propri avversari politici di essere "complici dei trafficanti di clandestini"[4] ed avere milioni di sostenitori, per esempio, però quindici anni di implicature lo hanno reso possibile oggi.

Una commissione di sorveglianza, come quella proposta dalla senatrice Liliana Segre (una degli ultimi sopravvissuti italiani ad Auschwitz) nell'ottobre 2019, al Parlamento della Repubblica Italiana, è stata accolta come "liberticida", fino a definirla "strumentalizzazione", "censura", "sovietica", "bavaglio".[5] Implicando dunque che chi proponga un controllo sull'hate-speech sia in realtà intenzionato a limitare o addirittura negare la libertà d'espressione. Una significativa confusione fra libertà d'espressione e insulto o mistificazione storico-politica.

L'implicatura salva da sanzioni, fa apparire nei confronti dei riceventi empatici con loro e obiettivi. Contenuti sostanzialmente diffamatori risultano convincenti. Il "lavoro sporco", consistente nel gettare accuse approssimative sull'altra parte politica, viene compiuto dall'elettore che trae l'implicatura.

Alle stesse sopra citate elezioni del 2006, anche la coalizione di Sinistra faceva un'operazione retorica simile a quella di Forza Italia, con i seguenti slogan:

 

-"Senza asili nido le famiglie non crescono"

-"Il lavoro precario chiude la speranza"

-"Una sanità che funziona rende tutti più liberi"

 

Implicando che gli avversari non volessero asili nido e ospedali efficienti e che sostenessero la precarizzazione del lavoro.

Anche da un punto di vista lessicale è interessante osservare quanto i campi politici fossero abbastanza segnati nel 2006, con la trinità lessicale del centro-sinistra: lavoro, sanità, famiglia (poi in parte sottratta dalla nuova destra) e un centro-destra che in tre slogan su cinque parlava di tasse e negli altri due paventava "sovversione" e "destabilizzazione" (nuclei sovversivi no-global al governo e immigrati clandestini senza controllo).

Si iniziava per altro ad operare quella distinzione tendenziosa fra "immigrato clandestino" e "immigrato regolare", destinata a diventare sempre più pregnante nel discorso politico nel decennio successivo.

Ben lungi dal rimanere una definizione burocratica ufficiale da questure, usciva dalle stazioni di polizia e si insinuava nel linguaggio popolare quotidiano, espressione anche di un aumento della percezione del pericolo (insicurezza sociale, economica, pubblica), accanto a una decrescita effettiva dei reati (secondo dati Istat del 2018), e le parole "clandestino" (cioè fuori legge) e "immigrato", "straniero", "extra-comunitario", "irregolare", "profugo", "rifugiato" sono diventate sinonimi nel linguaggio comune, implicando una specie di "colpevolezza" intrinseca nel fatto stesso di non essere italiano.[6]

Non senza responsabilità è anche l'abitudine giornalistica fuori controllo di specificare sempre la nazionalità di un colpevole o presunto tale, quando non italiano. L'effetto di questo tipo di informazione (sia voluto o no) è quello di far implicare che vi sia un forte nesso causa-effetto fra l'essere di una diversa nazionalità e il commettere reati o perpetrare aggressioni (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 69).

Fino ad arrivare al video-messaggio virale di Giorgia Meloni, nel febbraio 2019, contro la sottoscrizione del governo italiano del Global Compact, il documento ONU sull'immigrazione, con la giustificazione che non si possa ospitare "chiunque scappi da casa sua perché ha fame o così perché gli va"[7].

"Perché gli va", messaggio di una vaghezza linguistica disarmante, che impedisce un'analisi approfondita di qualsiasi tipo sul nascere ed è questo il vero problema, non solo implica che molti migranti si spostino quasi per sport, per divertimento, ma soprattutto nasconde le diverse drammatiche cause sociali, politiche, religiose, economiche, umane, ambientali, climatiche che spingono i migranti a fuggire e cercare di raggiungere l'Europa.

Nell'italiano odierno, parlato, un giovane può dire "mi va/non mi va di fare questo", in modo sgrammaticato e approssimativo. In un tema a scuola verrebbe quasi certamente segnato come errore, un bambino che rispondesse "non mi va di fare questa cosa" potrebbe sembrare capriccioso.

Certo non descrive la situazione di chi per qualsiasi ragione scelga di abbandonare la sua casa, la sua famiglia, il suo paese, attraversare il deserto più grande del mondo per migliaia di chilometri e poi il mar Mediterraneo, su qualche peschereccio o gommone di fortuna, rischiando di morire di fame o sete durante il percorso, annegare, ammalarsi, essere schiavizzato, stuprato, subire angherie, venire ucciso.

Tutto ciò è arrivato ad essere definito da Matteo Salvini, Beppe Grillo e Luigi Di Maio, Giorgia Meloni[8] e altri sotto l'etichetta di "taxi/crociere del Mediterraneo", nella campagna elettorale per le elezioni politiche italiane del 2018.[9]

Già nel 2017 Salvini usciva con affermazioni del tipo: "Gli esseri umani vanno aiutati. Ma 2/3 sono clandestini" (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 69). Seguendo la massima di relazione è legittimo dedurre che, almeno linguisticamente, nel lessico salviniano (di Salvini e di chi lo ascolta), per implicatura, chi fa parte della categoria di "clandestino", portandosi dietro tutti i suoi sinonimi, veri o presunti, non sia più parte del genere umano e (quindi) non vada aiutato.

 

  1. "Cambiare tutto" e "fare pulizia". La lingua politica del rispecchiamento.

 

Alle elezioni  europee del 2019 Giorgia Meloni ha proposto la sua candidatura con lo slogan: "In Europa per cambiare tutto". Se davvero si cominciassero a cambiare tutte le cose che dipendono dall'UE, ci sarebbero enormi disagi in qualsiasi stato membro ne faccia parte (basti vedere quanto accaduto nel Regno Unito, con una lunga gestazione per la Brexit, assolutamente non istantanea), ci sarebbero enormi disagi anche fra i seguaci più convinti del suo partito, Fratelli d'Italia.

Cosa vorrà dire quel "cambiare tutto"? Il senso resta vago, ma la connotazione implicita resta fortemente persuasiva. Tanto basta per simpatizzare, a un elettore superficiale che ami pensare di "cambiare tutto" e al quale non interessi riflettere su cosa comporti. Come osserva Lombardi Vallauri (2019), finché ci saranno molti elettori così, questa strategia pagherà chi la metterà in campo (LOMBARDI VALLAURI, 2019: 104).

L'uso di concetti vaghi e piglia-tutto, come "famiglia", ispira fiducia in chi non ha idee politiche precise o è disinteressato e disattento. Ha riguardato ampiamente la Lega di Salvini: "Giù le mani dalla famiglia! No ai matrimoni omosessuali".

Questo tipo di linguaggio implicito ha veicolato, in pochi anni di escalation, a molti che vogliono "cambiare tutto" e che hanno a cuore l'idea di "famiglia", per esempio, che gli omosessuali minaccino la famiglia tradizionale, l'Europa blocchi la strada per il cambiamento e ci voglia schiavizzare, i migranti clandestini non vadano aiutati perché non sono esseri umani.

Già il 2 giugno 2018 Salvini aveva detto "la pacchia per i clandestini è finita" e definito le ONG "vice-scafisti".[10]

Di recente il Dizionario Treccani ha aggiunto alla definizione di "scafista": "operaio addetto alla manutenzione/riparazione di scafi di navi e aerei", anche quella secondaria, ormai di uso comune, di "chi trasporta immigrati clandestini servendosi di motoscafi", attività che, secondo Salvini, le organizzazioni umanitarie non governative, che operano con volontari nel Mediterraneo, farebbero in loro vece quindi.

Ben più interessante è soffermarsi sulla parola "pacchia", secondo la definizione del Dizionario Treccani: "condizione di vita, o di lavoro, facile e spensierata, particolarmente conveniente, senza fatiche o problemi, senza preoccupazioni materiali, anche l'avere da mangiare e da bere in abbondanza".

Molte volte Salvini, anche come ministro degli Interni della Repubblica Italiana, ha definito in questo modo la condizione dell'immigrato clandestino.

Se tuttavia durante il suo ministero nel governo in coalizione con il Movimento Cinque Stelle "la pacchia è finita", già il 13 settembre 2019, appena uscito dal governo, formatosi un nuovo governo di coalizione di Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali, Salvini se ne usciva, sempre in diretta facebook, con un nuovo proclama agli immigrati clandestini: "Festeggiate finché potete, vi prenderemo, la pacchia finirà e faremo pulizia".[11]

"Fare pulizia" implica "pulizia di clandestini", fa pensare ad altre epoche ed altri episodi storici nei quali la stessa parola è stata accostata ad esseri umani, "pulire da" "pulire di", come "debellare", come si debellano parassiti e insetti infestanti.

In quanto a "pulizia" in politica occorrerebbe memoria storica per osservare che è una parola che è stata spesso usata anche da movimenti poco o per niente liberi e democratici, nel corso della storia.

È parola ampiamente usata anche dall'altra nuova forza politica del panorama italiano, Movimento Cinque Stelle, in pochi anni diventato, con la Lega, uno dei primi partiti del Paese, in termini di voti e popolarità.

Forza politica fondata all'insegna dell'anti-politica, dal comico Beppe Grillo, Movimento Cinque Stelle, alle elezioni politiche italiane del gennaio 2013 aveva conquistato 162 seggi in Parlamento, affermandosi come primo partito nazionale. Grillo intimava al resto del Parlamento, da fuori, tra la folla di fans in piazza: "Siete circondati" e "Apriremo il parlamento come una scatola di tonno".[12]

Il Parlamento non è più un edificio, un'istituzione, ma è stato linguisticamente trasformato nell'oggetto simbolo dell'usa e getta, del mangiare da poco, alla veloce, la scatola di alluminio che si apre in un attimo, si usa e si butta via. I parlamentari dei vecchi partiti sono accerchiati, circondati, come in un colpo di stato, dovrebbero uscire, a mani in alto magari.

Una volta al governo, il ministro del Lavoro (poi degli Esteri), Luigi Di Maio, capo politico del Movimento Cinque Stelle, al governo in coalizione con la Lega dal 2018, parlava nel giugno del 2019 di "pulizia" all'interno del Movimento, che ha avuto diverse espulsioni: "Ci sono persone che bivaccano, serve pulizia. Non si può entrare, mettere tutto a soqquadro".[13]

Vale a dire che chi nel Movimento non è d'accordo con il capo politico deve andarsene, altrimenti "fa soqquadro", occorre "pulizia" di chi è nel movimento a "bivaccare".

Benito Mussolini si insediò, come Presidente del Consiglio dei Ministri il 16 novembre del 1922, con il celebre "discorso del bivacco", paragonando la Camera dei Deputati, alla quale parlava, a un "bivacco".

Bivaccare: trascorrere la notte in un bivacco (l'accampamento alpino dei pastori o dei soldati o degli alpinisti), pernottare all'aperto, "accamparsi in modo provvisorio e non ordinato" secondo il Dizionario Treccani. Non si può entrare nel movimento senza mettersi in un certo "ordine" dunque.

Il discorso politico populista tende a presentare l'immagine di una società indifferenziata e semplificata, che punta su opposizioni rigorose, antagonismi e distinzioni rigide tra amici e nemici (CEDRONI, 2014: 35). E confonde questo con l'ordine.

L'elemento centrale del populismo è il riferimento al "popolo" (alla "gente delle valli", Salvini, 2018), sia come invocazione e come appello al "popolo", non meglio identificato, sia come richiamo alla "voce del popolo" (CEDRONI, 2014: 38).

"Avvocato del popolo, amico del popolo" (come passò alla storia il rivoluzionario francese Jean-Paul Marat) fu definito da Di Maio e dal Movimento Cinque Stelle il loro candidato premier, Antonio Conte (professore di Diritto), nel 2018.

La stessa piattaforma online, attraverso la quale il "popolo pentastellato" esercita una forma di "democrazia diretta", virtualizzata, si chiama "Rousseau" e spesso Di Maio se ne esce dicendo: "chiederemo a Rousseau", "decide Rousseau", quando si tratta di sondare la popolarità di qualche provvedimento, che viene sottoposto al giudizio preventivo della "rete".

Interessanti sono anche le comuni, rimbalzate, reciproche accuse di "intrighi", anche declinati nel più tipicamente italiano "inciuci". "Inciucio" è parola popolare italiana, ormai di uso politico esteso e trasversale, che indica in un'accezione più macchiettistica (se non teatrale) l'intrigo o complotto, di solito implicitamente ai danni del popolo.

Il discorso politico del populismo si costruisce intorno a un certo schema: Noi, i nostri, il popolo, voi, loro: quelli lassù, là fuori, completamente diversi, stranieri (CEDRONI, 2014: 40). Anche il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, segretario dal 2019 al 2021, ha imperniato la sua campagna elettorale alle primarie del partito sull'idea del ritorno del "Noi" anche nel suo partito, in una rincorsa al populismo.

Si tratta di espedienti retorici semplificatori e volti a far intendere che l'emittente si occupa della "gente", creando un rapporto quasi intimo, per esempio anche tramite analogie come l'equazione tra partito e casa privata, tra bilancio pubblico dello Stato e bilancio di un'impresa.

Silvio Berlusconi, quale imprenditore dell'editoria e dell'informazione, ma soprattutto presidente di una delle prime squadre di calcio del campionato nazionale italiano, il Milan, annunciò la sua entrata in politica, nel 1994, come "discesa in campo" (con implicito riferimento ai suoi successi sul campo di calcio), per far sentire la sua vicinanza alla gente, chiamando anche il suo partito come un incitamento da stadio: "Forza Italia".

Berlusconi fece riferimento alla casa (nel suo lessico collegata implicitamente anche alle idee di impresa e squadra) quando chiamò "Casa delle libertà" la coalizione da lui guidata dal 1994, poi trasformata, usciti coloro che erano diventati nei vari passaggi politici "indesiderabili", in partito, nel 2009, come "Popolo della Libertà", sciolto nel 2013.

Se i partiti della Prima Repubblica (1946-1992) richiamavano tutti la dimensione ideologica: Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito Liberale, Partito Repubblicano, eccetera, nella Seconda Repubblica solo il Partito Democratico, fondato nel 2007 per raccogliere il centro-sinistra italiano atomizzato dopo il crollo dei partiti storici e passato attraverso vette di simbolismo fitomorfico: "La Quercia", "L'Ulivo", "La Margherita", "La Rosa nel pugno", etc, ha osato chiamarsi partito (proseguendo in un tentativo di apparentamento ideale ai Democratici statunitensi), gli altri partiti hanno tutti fatto riferimento a una nuova dimensione emotivo-populistica.

A partire dal partito "L'Italia dei Valori", fondato da Antonio Di Pietro, il giudice simbolo della stagione di processi politici che ha fatto implodere la Prima Repubblica ("Tangentopoli"), facendo riferimento alla parola "valore", implicando valore morale, anche se non meglio definito, fino al più recente "Popolo della Famiglia", nato in opposizione alla legge sui matrimoni omosessuali, per la difesa dei "valori tradizionali".

"Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale", di Giorgia Meloni, che fa un enfatico riferimento all'inno nazionale di Goffredo Mameli e ad un'ideale "fratellanza nazionale italiana", ha dato dal 2012 una nuova "casa politica" alla destra nazionale, sociale e neo-fascista, dopo le divisioni e trasformazioni del vecchio Movimento Sociale (fondato in continuità della sciolta Repubblica Sociale Italiana di Mussolini).

La Lega, nata come "Lega Nord", nel 1989, faceva riferimento alla Lega Lombarda, costituita fra i Comuni liberi del nord Italia, nel XII secolo, contro l'imperatore Federico Barbarossa, enfatizzando l'unione ed indipendenza di un mai esistito popolo padano-celtico, affermandosi come partito-movimento, revisionista sull'unità italiana ed euro-scettico. Poi trasformato in Lega, dal 2018, sotto la guida carismatica di Salvini, mantenendo il nome simbolico, la lega politica spontaneamente fondata dal popolo come resistenza agli oppressori o agli invasori, ormai capace di capitalizzare elettorato del nord quanto del sud.

Infine Movimento Cinque Stelle, nato nel 2009, anti-politico e con l'aspirazione dichiarata di prendere il 100% dei voti, ha scelto un nome benaugurante, i suoi membri si ritengono, dando un calcio alla modestia, "a cinque stelle", in contrasto con l'assenza di valore dell'altra vecchia classe politica (o "casta", nel loro lessico). Dire di qualcosa "a cinque stelle" è espressione di uso comune per indicare qualcosa di grande qualità, si fa implicitamente riferimento, nell'immaginario collettivo, al mondo alberghiero o della ristorazione, "vetrina" e "traino" dell'Italia.

Va sempre nella direzione volta a creare una dimensione intima con l'elettorato, ad esempio, anche l'espressione, molto in voga nel discorso politico italiano, "mettere le mani in tasca agli italiani". Chi la usa vuole apparire come colui che mette in guardia gli elettori da chi vuole mettere le mani nelle loro tasche, come un padre con un bambino che sta per incorrere in uno scippatore di strada, la tassazione per lo stato sociale viene equiparata ad una sorta di saccheggio, scippo, estorsione.

L'emittente appare come qualcuno che si preoccupa: "i tuoi affari sono i miei affari", ovvero "io mi occupo di te e del tuo problema", come nello slogan del Partito democratico della sinistra, in Italia, "I care" (CEDRONI, 2014: 41), negli anni di Bill Clinton in America (e di Berlusconi in Italia), una potente formula politica populista, potenziata, in pieni anni '90, dall'uso attraente dell'inglese, all'inizio della moda dei forestierismi inglesi nel discorso politico italiano.[14]

"Io parlo apertamente e alla buona", "io non ho peli sulla lingua", continuano a ripetere politici del Movimento Cinque Stelle e della Lega, ostentando aperta antipatia per chi abbia proprietà di linguaggio e li corregga per esempio in merito a fatti storici, come quando Di Maio, attualmente ministro degli Esteri, disse che Pinochet era stato dittatore in Venezuela.

Francesco Speroni, eurodeputato della Lega (dal 1999 al 2014), si è fatto conoscere per aver rivendicato in più occasioni di "parlare da ignorante" perché ritiene di "rappresentare un elettorato ignorante, questa è la democrazia". L'affermazione evidentemente implicava una sorta di preteso vantaggio (se non merito) nel voler rimanere ignoranti e così eventualmente rispecchiare (anziché emancipare) la parte più ignorante dell'elettorato.

Si parlò e si parla infatti, nella Seconda Repubblica (in Italia), e in altre democrazie odierne, di "democrazia del rispecchiamento" (sempre più al ribasso), nella quale i leader politici non sono più stimati e seguiti in base alla propria capacità di formulare concetti semanticamente e lessicalmente alti (in una tensione educativa, forse paternalistica), talvolta quasi incomprensibili all'elettorato (vetta esemplare in tal senso può essere considerato il concetto delle "convergenze parallele", geometricamente impossibili, espresso da Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana (1959-1964), per esprimere il "compromesso storico" fra comunisti e democristiani in Parlamento e al governo, nel 1974). Bisogna dire che Speroni ha poi avuto diversi emuli che lo hanno citato più volte negli anni.

Nel 2007 Umberto Bossi, fondatore della Lega, invitò addirittura i leghisti a "prendere i fucili" per difendersi dal prelievo fiscale.[15]

L'uso dell'accrescitivo, popolare e empatico, talvolta sarcastico, anche laddove è necessaria una forzatura linguistica, è ampiamente sfruttato da Salvini: "ciaone", "bacioni", "dottoroni", "musoni", etc.

La rappresentazione negativa dell'avversario avviene tramite ingiurie verbali iperboliche e spesso metaforiche, sostituendo l'argomentazione critica e razionale.

Iperbolici sono gli elenchi che Salvini fa nei suoi discorsi per enfatizzare le categorie con le quali si sente solidale, in contrapposizione agli "altri".

Iperbole può essere considerato anche l'indicare genericamente tutti i propri avversari a sinistra come "comunisti", per esempio, ivi includendo anche moderati, cristiani, liberali, socialisti, democratici, etc, come faceva (con una certa dose di "bonapartismo") Silvio Berlusconi, avendo per altro nel suo partito anche ex membri della sinistra, ma indicando generalmente chiunque non fosse con lui come "comunista", e implicitamente "nemico", estendendo oltre ogni ragionevole limite (per un ventennio dopo il crollo della cortina di ferro) il tempo della contrapposizione ideologica fra i due blocchi, durante il quale l'Italia si era collocata saldamente nel blocco filo-americano.

Oggi Salvini chiama "sinistri", o come Grillo e Di Maio usa anche i termini "radical-chic" e "borghesi", tutti coloro che, da destra a sinistra, sono contro di lui. "Sinistro" in italiano è infatti un aggettivo che, usato in un contesto politico, può indicare, in maniera vaga, chi faccia parte della sinistra, ma implica anche il significato primario che indica qualcosa di oscuro e pericoloso (il senso di pericolo che evocava la parola "comunista", in tanti elettori italiani, fra gli anni '50 e '70).

Nel giugno 2019 scoppiò in Italia il "caso Sea Watch". Salvini, come ministro degli Interni, aveva promulgato il decreto di chiusura dei porti alle navi delle ONG attive nel Mediterraneo per salvare i migranti naufraghi.

Carola Rackete, volontaria tedesca trentenne, alla guida dell'imbarcazione Sea Watch, forzò il blocco, dopo giorni di appelli per poter attraccare con i suoi naufraghi raccolti, fra i quali anche donne e bambini. Fu perseguita e poi assolta per il suo operato "illegale", con le varie attenuanti.

Ciò che è più interessante, dal punto di vista della lingua politica e di quello che crea, è che in quei giorni Salvini si prodigò nello squalificare Carola Rackete facendo leva sul fatto che avesse più lauree e fosse poliglotta e venisse da una famiglia "ricca e borghese".

Inevitabilmente il fatto di essere colti, laureati e poliglotti per Salvini è un demerito, sono meno funzionali ad altre sue eventuali richieste agli italiani dei "pieni poteri", come nel 2019[16] (come Mussolini nel 1924). I suoi candidati ed elettori devono più rispecchiare la sua Lucia Borgonzoni, la quale da candidata alla presidenza della regione Emilia Romagna sosteneva che la sua regione confinasse con il Trentino Alto-Adige[17] e da sottosegretaria alla Cultura si vantò di non leggere un libro da tre anni[18].

Il fatto di essere "ricco" per Salvini non è ovviamente un problema, come non lo è per Donald Trump o per Vladimir Putin, i suoi due massimi modelli politici internazionali, ma come loro non denigra tanto chi è ricco (loro stessi e molti loro amici lo sono), quanto chi si riconosce nei principi "borghesi", che, dall'Illuminismo (forse dal Rinascimento) in poi, hanno implicato anche una progressiva attenzione e sensibilità, intese come obbligo morale, verso chi è socialmente ed economicamente meno fortunato da parte di chi lo è di più, anche senza essere necessariamente miliardario.

Così si costruisce il sentimento di ingiustizia in un popolo come quello italiano, che fra i paesi UE ha sempre avuto e ancora ha un esteso ceto medio che tuttavia si è percepito sempre più attaccato da tasse e finanza e si percepisce sempre più "povero", in competizione con gli altri più "poveri" che vengono in Italia (contribuendo anche alle pensioni italiane: l'Italia ha la popolazione più vecchia d'Europa, senza ricambio generazionale).

Così una persona di ceto medio che compia un'azione del genere di quella intrapresa dalla Rackete, persona socialmente ed economicamente analoga a milioni di italiani, viene raccontata e percepita nell'immaginario collettivo come una sorta di "Robin Hood al contrario". "Ricca", tedesca, quindi naturalmente alleata dei "poteri forti" che mettono in atto la "sostituzione etnica" per colpire l'Italia e i già impoveriti italiani.

Gli insulti sessisti che ha ricevuto sui social network, vera e propria "gogna", in quei giorni, dimostrano il livello di malessere politico creato da un certo uso della lingua e da un certo racconto e da una certa interpretazione della realtà.

 

  1. Alcuni degli slogan politici raccolti dalla campagna elettorale per le elezioni parlamentari slovacche del 2020. Un esempio di uso delle implicature e della retorica del rispecchiamento:

 

  • partito OĽaNO (Matovič) - slogan:  Úprimne a odvážne (Onestamente e coraggiosamente).
  • Si tratta di un partito letteralmente composto di "Gente comune e personaggi indipendenti", che pretende di dimostrare quella onestà e quel coraggio, non meglio specificati, che gli avversari evidentemente non possiedono.
  • partito Smer (Pellegrini) - slogan: Zodpovedná zmena (Cambio responsabile).
  • Un partito che ha come nome "Direzione" fa certamente leva, come tanti altri partiti, sulla sfera emotivo-populistica, un partito che spinge verso una direzione, anche qui non meglio specificata. Va detto, è già importante avere una direzione ma bisognerebbe anche essere informati su quale sia, nessuno salirebbe su un autobus o su un treno che non si sappia dove sono diretti, se non costretto. Per fortuna, ci pensa lo slogan a specificare: "cambio responsabile", che dovrebbe forse bastare a qualcuno che si ritenga genericamente "responsabile" a simpatizzare, perché anche qui non si specifica di quali cambiamenti si parli e quindi verso cosa e a quale titolo i candidati di questo partito dovrebbero essere ritenuti più responsabili di altri.
  • partito SNS (Danko) - slogan: Zastavili sme Istanbulský dohovor (Abbiamo fermato la Convenzione di Istanbul).
  • Il "Partito Nazionale Slovacco" (noto per le esternazioni xenofobe del suo ex segretario Jan Slota) è per lo meno l'unico ad aver esposto nel suo slogan un contenuto esplicito, per quanto deprecabile. Ovvero, ci dicono apertamente, facendosene anche vanto: abbiamo fermato la Convenzione di Istanbul (la convenzione internazionale del 2011 sulla violenza di genere). Come a dire: se ritieni sia una cosa saggia votaci. Evidentemente bisognerebbe verificare che cosa l'opinione pubblica slovacca abbia avuto modo di sapere e approfondire in merito a quella convenzione e si potrebbe discutere all'infinito sul perché e come una convenzione internazionale contro la violenza di genere debba e possa diventare "politicamente divisiva", in un paese libero e democratico, in uno stato di diritto.

 

  • partito Sas (Sulík) - slogan: Alternatíva existuje / Menej štátu, nižšie dane / Zdravý rozum je najlepší recept (L´alternativa esiste / Meno stato, tasse piú basse / Senso comune é la ricettta migliore).
  • Il partito “Libertà e Solidarietà” fa forse più leva su una sorta di complottismo collettivo: un’alternativa c’è ma non te la fanno vedere, elettore: la ricetta è meno stato e tasse più basse (un vecchio mantra berlusconiano, sedicente liberale ma in contrasto con le tesi dei grandi statisti liberali storici come Luigi Einaudi, che ebbe e avrebbe alquanto da obiettare sulla solidarietà e sulla libertà di uno stato senza tasse per lo stato sociale e i servizi pubblici), "il senso comune è la ricetta migliore", simile a quanto ripete in continuazione Matteo Salvini, il povero "senso comune" messo in antitesi a tutti i vari non meglio qualificati "professoroni".

 

  • partito PS/Spolu - slogan: Za férové a hrdé Slovensko (Per una Slovacchia giusta e orgogliosa).
  • "Insieme": "Per una Slovacchia giusta e orgogliosa", si commenta da solo e fa abbastanza eco al partito di Antonio Di Pietro "L'Italia dei valori", contrapposto all'Italia senza valori, come in questo caso: insieme contrapposti agli slovacchi senza giustizia e senza orgoglio.
  • partito KDH - slogan: Nádej pre spravodlivé Slovensko (Speranza per una Slovacchia giusta).
  • Lo storico partito cristiano slovacco richiama a un sentimento di speranza e di giustizia che evidentemente richiamano radici e valori cristiani in un preciso target elettorale che fa riferimento a quel gruppo e orizzonte ideale-religioso specifico.

 

  • partito Dobrá voľba - slogan: Riešenia bez hádok (Soluzioni senza litigi).
  • “Buona scelta” sembra analogo al partito italiano “Bene Comune”, clamoroso flop ma potente quanto vago messaggio politico: la prospettiva di trovare in democrazia soluzioni senza “litigi” per un “bene comune" è talmente utopistica da somigliare più a una proposta para-dittatoriale, un po' come quella del Movimento Cinque Stelle e di tutte quelle forze populistiche che pretenderebbero di avere la totalità dei consensi (cosa che non accade nemmeno nelle elezioni rituali truccate in Corea del Nord). Si tratta anche forse di una quasi patologica colpevolizzazione del contrasto, scontro, confronto di idee, colpevolizzazione che di fatto può essere l'altra faccia della medaglia della fanatizzazione del dibattito pubblico, lungi dall’esserne l’antidoto.
  • partito Ľudová strana - Naše Slovensko (Kotleba) - slogan: Chceme Slovensko národné a kresťanské. A čo ty? (Vogliamo la Slovacchia nazionale e cristiana. E tu?).
  • Marian Kotleba, internazionalmente noto per slogan come: "Le slovacche sono le donne più belle" e per le sue uscite xenofobe, euroscettiche, ultranazionaliste (per usare degli eufemismi) fa un perfetto gioco di implicatura nel suo slogan, usando termini sostanzialmente "neutri" come "nazionale" e "cristiana", ma con il chiaro intento di veicolare significati ben più incisivi e di pilotare un eventuale elettore inconsapevole, sprovveduto, disattento o disinteressato verso la galassia ultranazionalista, ci pone la solita domanda retorica "innocente" con implicatura, lasciando tutto il lavoro sporco all'elettore che legge: "Vogliamo una Slovacchia nazionale e cristiana e tu?" ovvero: "La vuoi anche tu una Slovacchia nazionale e cristiana, come la vogliamo noi?", e implica anche naturalmente: qualsiasi sia la tua idea di questi due termini neutri e vaghi di per sé "nazionale e cristiano", sappi che con gli altri non li avrai.
  • partito Sme rodina (Kollár) - slogan: Myslím srdcom (Penso con il cuore).
  • "Siamo una famiglia" è certamente un partito che vuole fare il gioco di Silvio Berlusconi con "Forza Italia" assurto da slogan sportivo a slogan politico. Qui forse si fa riferimento alla vecchia canzone: We are family, delle Sister Sledge. Implica logicamente il potersi sentire in un clima famigliare, casalingo, quasi in un'atmosfera da focolare, con il leader, come "La Casa delle Libertà". Ovviamente in questo caso completa il nome di convenienza lo slogan: "Penso con il cuore", come una vera e propria pubblicità commerciale che debba vendere un prodotto facendoci sentire a casa nell’acquistarlo e consumarlo.

 

  • partito Vlasť (Harabin) - slogan: Ukradli našu vlasť. Vráťme ju ľuďom! (Ci hanno rubato la patria. Ridiamola al popolo!).
  • Il partito della patria punta invece su uno slogan di chiara accusa, per implicatura, che "gli altri/loro" hanno rubato la patria, ancor più enfatico e teatrale: "Ci hanno rubato la patria!" (il "ci" come a dire anche: io sono stato derubato come voi). Qualcuno ha rubato questa patria bisogna acciuffarlo e restituire al popolo questa "povera patria", il candidato non si candida tanto a presiedere e guidare un paese quanto a essere assunto come un detective, evidentemente, dal popolo, per andare a riconquistare la patria perduta e ci promette che lo farà al posto nostro, senza che noi dobbiamo nemmeno muovere un dito.

 

Conclusioni.

 

È difficile arrivare a conclusioni nette e certe per un lavoro, in realtà all'interno di una più ampia e articolata ricerca di dottorato (con un approccio interdisciplinare), che non si pone come obiettivo altro che quello di raccogliere elementi che contribuiscano a descrivere e definire un fenomeno osservato e osservabile, per quanto discutibile: l'impoverimento e la radicalizzazione del discorso politico, in relazione a un altro coevo fenomeno sotto gli occhi di tutti e già a sua volta oggetto di studi scientifici: la vasta fanatizzazione e banalizzazione del dibattito pubblico nella lingua comune, per mezzo dei social ed a tutti i livelli, non tanto e solo come turpiloquio (si potrebbero anzi rinvenire esempi di turpiloqui concettuali e raffinatissimi in tutte le epoche) bensì come manifesta tendenza generale alla superficialità, alla deresponsabilizzazione, al binarismo, all'ipersemplificazione di discorsi sempre più scevri di tracce di approfondimento e problematizzazione e fatti per altro da personaggi che di ciò si fanno vanto, in maniera più o meno ostentata e per di più ottenendo il risultato del successo elettorale o comunque un qualche successo di pubblico, fama, consenso, seguito, diventando quindi invitanti modelli sociali (e anche linguistici, comportamentali e culturali) ai quali omologarsi.

Da un punto di vista meramente empirico non si può dire che tutto questo non desti preoccupazione per i suoi effetti e che quindi non sia opportuno osservare tutto ciò, anche se non porterà a risultati immediati (come un'equazione o un algoritmo) e forse ancor meno a soluzioni, ovvero che non sia scientificamente e culturalmente valido e necessario, se non utile, raccogliere i dati e le prove di questo fenomeno, fare considerazioni sulle cause e sugli effetti possibili di quegli elementi e descrivere questi fatti che forse, o probabilmente, un giorno non lontano produrranno ulteriori sviluppi che dalle cause, che oggi sono sotto i nostri occhi e possiamo osservare, non promettono niente di buono.

Non riflettere sulla lingua e sui fenomeni linguistici e sulle sue tendenze, con un approccio interdisciplinare, così come sulla politica e sull'educazione linguistiche, fa male alla democrazia e alla libertà, com'ebbero a dire, in termini diversi, Tullio De Mauro nei suoi studi di una vita e Gianni Rodari attraverso le sue opere di fantasia e di immaginazione. Entrambi ci hanno invitato a vedere nella lingua uno strumento libero e di creazione, un gioco serio per dirla con Johan Huizinga, non un abito ingessato, ma qualcosa da custodire, coltivare e da arricchire continuamente e da usare come inesauribile strumento e fonte di creazione, espressione, libertà ed emancipazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Francesco Bonicelli Verrina, Univerzita Komenskeho v Bratislave, This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

 

[1]   https://francescomacri.wordpress.com/2018/10/06/pier-paolo-pasolini-ai-giovani-contestatori-del-68-siete-in-ritardo/ (04/04/2022).

[2]     Osservatorio Italiano Antisemitismo e Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano: osservatorioantisemitismo.it/articoli/antisemitismo-di-beppe-grillo/ (18/01/2020).

[3]     Per Klemperer espressioni e parole come "de-nazificare" erano nella Germania del dopoguerra testimoni di quanto la manipolazione linguistica operata dal nazismo fosse sopravvissuta al nazismo stesso, lasciando aperto il dubbio che una lingua modificata possa portare avanti e custodire i semi del regime stesso che l'ha creata, nel modo di ragionare (se siamo la lingua che parliamo) anche quando esso è stato sconfitto ed è scomparso.

[4]     M. Salvini, huffingtonpost.it/entry/salvini-su-facebook-io-non-sono-stato-non-sono-e-non-saro-mai-complice-dei-trafficanti-di-esseri-umani (20/01/2019)

[5]     S.Berlusconi (31/10/2019 www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/31/berlusconi-fi-astenuta-su-commissione-contro-odio-no-a-strumentalizzazioni-la-sinistra-voleva-nuovo-reato-dopinione), G. Meloni (02/11/2019 it.blastingnews.com/politica/2019/11/commissione-segre-meloni-vecchia-idea-della-boldrini-censura-politica-della-sinistra), M. Salvini (02/11/2019 https://www.huffingtonpost.it/entry/salvini-contro-la-commissione-segre-e-sovietica-si-imbavaglia-il-popolo).

[6]     accademiadellacrusca.it/it/consulenza/migranti-profughi-e-rifugiati-anche-le-parole-delle-migrazioni-sono-sempre-in-viaggio (12/01/2020).

[7]     huffingtonpost.it/entry/giorgia-meloni-detta-la-linea-sul-global-compact (27/02/2019).

[8]     Sommati superano ampiamente la metà dei voti espressi alle elezioni politiche italiane del 2018.

[9]     Per chi voglia approfondire si consiglia la lettura di Roberto Saviano, In mare non esistono taxi, Contrasto, Milano, 2019.

[10]     repubblica.it/politica/2018/06/02/news/governo_salvini_lega_migranti.

[11]     ilfattoquotidiano.it/2019/09/13/lega-salvini-a-migranti-festeggiate-finche-potete-poi-riprenderemo-con-la-pulizia

[12]     adnkronos.com/IGN/News/Politica/Grillo-presenta-le-liste-Apriremo-il-Parlamento-come-una-scatola-di-tonno

[13]     ilfattoquotidiano.it/2019/06/22/m5s-di-maio-ci-sono-persone-che-bivaccano-serve-pulizia-non-si-puo-entrare-mettere-tutto-a-soqquadro-e-andarsene

[14]     A proposito di impatto linguistico dell'inglese basti pensare alla riforma della scuola proposta da Berlusconi a fine anni '90 che aveva come obiettivi dichiarati 3 I: Inglese, Internet, Impresa. All'inseguimento i leader della sinistra nel tentativo di dimostrare di essere ancora più "americani" di lui, da Valter Veltroni che usò l'obamiano "We can" per la sua campagna elettorale, a Matteo Renzi con i suoi moral suasion, jobs act, etc e poi dall'altra parte ancora Matteo Salvini, in tempi di trumpismo, con la sua flat tax.

[15]     repubblica.it/2007/08/sezioni/politica/bossi-milano-capitale/bossi-26ago/bossi-26ago

[16]   https://www.ilpost.it/2019/08/09/matteo-salvini-pieni-poteri-elezioni/ (04/04/2022).

[17]   https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/02/borgonzoni-la-gaffe-della-leghista-candidata-per-lemilia-romagna-la-regione-confina-anche-con-il-trentino/5491583/ (04/04/2022).

[18]  https://www.huffingtonpost.it/entry/disse-non-leggo-un-libro-da-tre-anni-ora-e-sottosegretario-alla-cultura_it_6036acd3c5b69253191abd69/ (04/04/2022).

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